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L’area compresa tra Zocca e Guiglia è caratterizzata dalla presenza di una "placca" di rocce Epiliguri, topograficamente rilevata rispetto al paesaggio circostante, in cui dominano i complessi argillosi delle Liguridi.
Questo altopiano è costituito in prevalenza da litotipi arenaci e marnosi del Gruppo di Bismantova e della sottostante Formazione di Antognola.
La placca presenta numerose faglie e fratture conseguenti alle varie fasi tettoniche della formazione della catena appenninica.
Il paesaggio all'interno di questo altopiano è costituito da forme dolci, di tipo relitto (riferibili a processi di modellamento non più attivi, probabilmente riconducibili agli ambienti periglaciali, durante e subito dopo l’ultima glaciazione wurmiana) e da numerose cavità di ampia varietà tipologica: doline di vario tipo (perlopiù a piatto o a scodella), pozzi verticali, inghiottitoi e ripari sotto roccia.
La loro origine è attribuita a fenomeni parzialmente carsici (con dissoluzione del carbonato di calcio dei clasti e del cemento), imposti lungo le numerose faglie o fratture meccaniche.
I gruppi di doline e le forme carsiche più rilevanti sono osservabili presso Samone (area più ricca di cavità nella provincia di Modena). Groticelle dei Burroni, Buco dei Pipistrelli, Pozzo della Pecora, Buco dell’Albero sono alcuni dei loro nomi.
Alcune di queste, come il Pozzo II dei Burroni, sono state utilizzate come rifugio di partigiani durante l’ultima guerra.
Anche queste cavità a prevalente sviluppo verticale costituiscono esempi di forme pseudocarsiche, trattandosi di pozzi di origine meccanica, impostati lungo fratture tettoniche sul margine della placca.
A breve distanza da Roccamalatina, lungo il sentiero che collega l'abitato a Pieve di Trebbio, è ubicata la grotta più bella del Parco, grotta di Cà Cereta. Scoperta agli inizi degli anni '90, entro le areniti del Gruppo di Bismantova (Membro di Pantano, Miocene inferiore-medio - circa 20 m.a. fa), presenta un pozzo di accesso di 11 metri di lunghezza. Impostata lungo una frattura, presenta uno sviluppo complessivo di 29 metri ed è costituita da due stanze, la prima di 10×7,5 metri collegata ad una seconda di minori dimensioni.
Il processo che ha formato questa cavità, che l'ha resa caso singolare per la provincia di Modena, rientra tra i fenomeni paracarsici suddetti: le numerose concrezioni carbonatiche (come stalattiti, stalagmiti, canule, colate, cortine stalattitiche), ben evidenti all’interno della cavità, sono accompagnate da stillicidi stagionali, con fenomeni di dissoluzione e ricristallizzazione quindi parzialmente attivi.
La grotta, chiusa alla fruizione turistica, è tutelata dall’Ente Parco anche come ambiente di vita per alcune specie di animali di importanza comunitaria, come i chirotteri (pipistrelli), e per altri organismi legati agli ambienti ipogei.
Di origine differente sono invece le grotte che si rinvengono sul Sasso della Croce, molto probabilmente determinate dall’azione dell’uomo. Sono state utilizzate in passato come rifugio durante l’ultima guerra e come riparo per gli animali (come la grotta posta alla base del Sasso).
Curioso il “lampadario naturale” posto sul soffitto della grotta più prossima alla cima. Questa forma globosa, sembra essere, secondo una delle teorie formulate dai geologi, il risultato della maggiore cementazione di un volume sferico di materiale rispetto alla restante massa. E’ un fenomeno avvenuto, probabilmente, prima che la sabbia diventasse roccia: la cementazione è iniziata in un punto all’interno del deposito marino ed è proseguita irradiandosi in tutte le direzioni lungo superfici concentriche. In natura, è la maggior resistenza all’alterazione e all’erosione ad evidenziare queste particolari forme, facendole emergere dalle rocce circostanti. Queste particolari forme, chiamate cogoli, si possono osservare anche in altri punti dei Sassi.
Incuriosiscono anche altre piccole cavità naturali, somiglianti a grandi alveoli, che fungono da rifugio agli animali degli ambienti rupestri, come i falchi dei Sassi. Un esempio è bene visibile sulla parete del Campanile Alto. Il fenomeno è dovuto alla struttura della roccia, caratterizzata da un diverso grado di cementazione: in diversi punti, dove il cemento calcareo che tiene insieme i grani di sabbia non è così abbondante da garantire una buona presa, è facile che la roccia venga rimodellata dagli agenti naturali.