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E’ la maggiore e la più conosciuta “salsa” del Reggiano (un tempo oggetto di studio da parte di famosi studiosi come Antonio Vallisneri e Lazzaro Spallanzani) e si trova nella parte alta di un pendio che, inclinato ad oriente, fa defluire i fanghi in quella direzione. Com’è noto, il fenomeno trae origine per risalienza da notevole profondità (alcune centinaia di metri), lungo un complesso di faglie, di acque miste a gas (soprattutto metano, ma anche idrogeno solforato) e ad altri idrocarburi (sono frequenti le tracce di bitume e petrolio). Vengono così a giorno, sotto forma di fanghi, le argille di uno dei tanti “melanges” eocenici affioranti nel circondario ed un tempo compresi nelle cosiddette “argille scagliose”: la presenza di sali, per lo più cloruri di sodio e potassio, deriva dal fatto tali argille si sono deposte in ambiente marino.
Poiché le salse non hanno niente a che fare con i fenomeni vulcanici, i fanghi emessi sono “freddi”, cioè possiedono temperature simili a quelle dell’ambiente esterno. L’attività, anche se inferiore rispetto al passato, risulta a tratti ancora notevole, tanto che le bocche lutivome assumono una forma a tronco di cono e le relative colate rimangono per un certo tempo in rilievo rispetto al piano di campagna, finché non vengono dilavate dalle piogge.
L’area riveste una particolare importanza anche dal punto di vista floristico, ospitando una interessante vegetazione mioalofila lungo i canali di scolo dei fanghi salati. Contrariamente ad altre salse emiliane, meno attive e che spesso vengono sconvolte dalle arature, il terreno della salsa di Regnano non è assoggettato a pratiche agricole, essendo collocato in prossimità del centro abitato.